Don Giovanni Dozio (studioso)

Ultima modifica 21 agosto 2019

Porchera 1798 – Valmara 1863

Don Giovanni Maria Dozio nacque da Carlo Ambrogio e Carolina Galavresi. Nel 1821 fu ordinato sacerdote a Lugano; fu poi nominato insegnante di belle lettere al Seminario di Poleggio, nel Canton Ticino, e professore di scienze bibliche al Seminario Teologico di Milano.

Nel 1839 divenne Dottore all’Ambrosiana e poi Viceprefetto.Fu un uomo erudito, dedito allo studio della teologia, della liturgia, fino a toccare ambiti lontani dalla religione, quali la storia medievale e la paleografia: mostrò anche molta sensibilità verso i più deboli istituendo la celebre Opera Pia Dozio, ancora ricordata da molti anziani.Come storico scrisse numerose opere anche divulgative: ricordiamo l’ambizioso progetto di ricostruire la storia delle Pievi briantine, di cui fa parte il celebre volume “Notizie di Brivio e della sua Pieve” edito nel 1858 a Milano; questa opera è stata per decenni l’unico punto di riferimento per la storia locale.

Ma il suo prestigio è soprattutto legato ai suoi studi di paleografia e storia altomedievale. Fece parte della “Regia Deputazione per gli studi di storia patria”, collaborando alla stesura del Codice Diplomatico Longobardo (alcuni documenti sono stati trascritti nell’appendice al termine del libro) e alla fondazione dell’importante “Monumenta Historiae Patriae”.

Dal 1862 collaborò anche con il Museo Archeologico di Milano. Interessante è anche la catalogazione degli scritti e disegni di Leonardo da Vinci depositati all’Ambrosiana.Infine il Dozio fu il più grande liturgista ambrosiano della metà del XIX secolo: compilò il Cerimoniale Ambrosiano (1855), ancora oggi punto di riferimento per gli studi liturgici di quel secolo, anche per l’attenta ricostruzione della storia del cerimoniale milanese dalle sue origini.

Lo stesso Dozio divulgò studi liturgici inediti risalenti al XIII secolo; come liturgista fu molto insofferente verso ogni possibile variazione della celebrazione ambrosiana, vista come un “sacro deposito, anzi che nostra proprietà”, ma nonostante questa visione limitata della liturgia, il successivo movimento riformista liturgico si rifarà spesso ai suoi scritti.